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Poveri o a rischio povertà 2,7 milioni di italiani: non ci sono solo gli occupati e i disoccupati

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Beppe Grillo oggi pubblica un secondo, lungo post a sostegno del reddito di cittadinanza: l'autore stavolta è un giovane storico olandese, Rutger Bregman, mentre nel post di ieri era Grillo stesso a scrivere reclamando un reddito universale come "diritto di nascita". Si può discutere se siamo davvero al superamento della società fondata sul lavoro, e certo Grillo non è il primo a parlarne (il sociologo Domenico De Masi in Italia la profetizza da oltre 20 anni). Certo rimarrebbero alcuni problemi non trascurabili: se non lavora nessuno, come si fa a produrre i beni essenziali. Se lavorano alcuni, perché dovrebbero accettare di farsi carico in pianta stabile di tutti gli altri. Se quelli che lavorano vengono privilegiati sotto il profilo del reddito della ricchezza e gli altri si spartiscono quello che rimane, nascerebbe una società speculare rispetto a quelle dei secoli passati, con pochi nullafacenti ultraricchi in cima e tutti gli altri a lavorare per quasi niente per mantenere i loro privilegi...Sono speculazioni che non si addicono a questo blog, che invece cerca di fondare i ragionamenti sui numeri. E allora i numeri Istat, rielaborati dal Censis, ci dicono che prima ancora di arrivare ai non lavoratori con reddito garantito, la società si sta silenziosamente avviando (o sta forse silenziosamente ritornando) ai lavoratori pagati poco, pochissimo. Working Poors li ha battezzati la statistica: nel 2016, anno oggetto dell'indagine (non ci sono dati altrettanto dettagliati sul 2017 ancora) tra i "poveri assoluti" si scopre un 6,9% dei lavoratori dipendenti, un 12,6% di operai, un  5,7% degli autonomi e, sorpresa, l'1,5% dei dirigenti-quadri-impiegati (certo difficile che si tratti di dirigenti o quadri, ma magari un divorzio, un mutuo troppo pesante possono portare rasoterra anche i percettori di redditi medio-alti).

Quindi non sempre i poveri sono disoccupati. I disoccupati in senso tecnico, anzi, cioè "in cerca di occupazione", sono solo il 23,2% dei poveri assoluti. A forte rischio di povertà anche gli italiani che vivono in famiglie a "bassa intensità lavorativa": sono il 12,8% del totale. Significa che non lavorano tutti i mesi dell'anno, o tutti i giorni della settimana (part-time involontario): per la precisione, la definizione si riferisce alle persone in età lavorativa, cioè tra i 18 e i 59 anni, che hanno lavorato per meno del 20% del loro potenziale. Però tra  i lavoratori poveri ci sono anche quelli che, più banalmente, guadagnano troppo poco, anche con un orario di lavoro completo. I salari italiani sono tra i più bassi dei Paesi industrializzati, e più bassi della media europea, tutti i salari, anche quelli dei dirigenti. Le famiglie a bassa intensità lavorativa sono circa un quarto del totale nelle Regioni del Mezzogiorno, poco più del 5% nelle Regioni del Nord Italia.

"Dal rischio di povertà - scrive il Censis nell'indagine "Millennials, lavoro povero e pensione: quale futuro?", condotta per conto di Confcooperative - non sono affatto escluse quelle famiglie il cui principale percettore di reddito è occupato". L'area dei working poors in Italia raggiunge i 2.700.000 individui. Molti sono giovani sottopagati, al primo lavoro, ma non solo. Si riscontra "uno slittamento verso il basso delle remunerazioni di molte categorie professionali". Una rincorsa al ribasso, osserva il Censis, che "segnala in maniera ancora più marcata la separazione che sta avvenendo tra i destini dei lavoratori e la sostenibilità a lungo termine dei sistemi di welfare". Cioè al basso salario si aggiungono i bassi contributi, e quindi i lavoratori rischiano anche di rimanere scoperti sotto il profilo delle previdenziali. Anche le teorie sul reddito di cittadinanza devono essere aggiornate: ormai il mondo non si divide più tra lavoratori e non lavoratori, ma anche tra lavoratori che guadagnano abbastanza e lavoratori poveri.

 

 

 

 


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